Gli atti dell’Amministrazione finanziaria: valore, efficacia e natura a seguito delle modifiche all’articolo 7 dello Statuto del Contribuente.

FMS | 16 marzo 2024
Gli atti dell’Amministrazione finanziaria: valore, efficacia e natura a seguito delle modifiche all’articolo 7 dello Statuto del Contribuente.

Gli atti dell’Amministrazione finanziaria: valore, efficacia e natura a seguito delle modifiche all’articolo 7 dello Statuto del Contribuente.

Nel 2022, come noto, sono state introdotte significative modifiche alla disciplina relativa al processo tributario. 

La spinta riformatrice del legislatore, tuttavia, non si è attenuata, e, alla fina del 2023, sono stati emanati due ulteriori Decreti legislativi, numero 219 e 220, entrambi datati 30 dicembre.

Il primo ha apportato alcune significative modifiche alla l. 212/2000, meglio nota come Statuto del Contribuente.

In particolare, meritano di essere evidenziate quelle contenute nell’articolo 1, comma 1, lettera f) del decreto, con cui è stato in parte riformulato l’articolo 7 dello Statuto.

Vale la pena di prendere in considerazione questa norma perché i princìpi che se ne ricavano hanno la capacità di produrre effetti in diversi ambiti della materia tributaria.

Procedendo con ordine, al n. 1) della lettera f) in questione, si trovano due disposizioni estremamente significative.

Si tratta della rimozione del richiamo all’art. 3 della legge 241/90, e  dell’introduzione dell’obbligo, per l’Amministrazione finanziaria, di indicare nei propri atti i mezzi di prova su cui si fondano i provvedimenti assunti, a pena di annullabilità.

Quanto alla prima novità, essa appare, da un lato, estremamente rilevante, e, dall’altro, di difficile interpretazione.

L’art. 3 della l. 241/90, infatti, riguarda l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, ed è espressione di un principio generale dell’Ordinamento, che promana direttamente dall’art. 97 Cost. 

Si tratta di una disposizione cardine dell’intero corpus del Diritto pubblico, tanto che solo pochi mesi fa, il Consiglio di Stato ricordava che “la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo ai sensi dell'art. 3, l. n. 241 del 1990 e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile” (Sezione II, 6/9/2023, n. 8193).

Ora, sostituire il richiamo all’obbligo della motivazione con la sanzione dell’annullabilità è una scelta che va indagata: l’interpretazione che sovviene, prima facie, è che si sia inteso fare degli atti dell’amministrazione finanziaria un’autonoma categoria, cui si applica una legge speciale, e non invece la disciplina generale.

All’Erario spetta dunque, apparentemente, un ruolo autonomo e distinto nell’ambito della Pubblica Amministrazione, tale da renderlo capace di produrre un particolare genus di atti, soggetti ad una regolamentazione separata.  

Naturalmente, sarnno la prassi applicativa e gli orientamenti interpretativi a confermare o smentire questa valutazione, tuttavia non si può non ribadire la portata potenzialmente dirompente di questa novella.

L’altra novità cui si faceva cenno è l’indicazione dell’obbligo di inserire nell’atto i mezzi di prova su cui si fonda.

Ora, questa norma, da un lato, va letta in uno con il comma 5 bis del d.lgs. 546/92 introdotto nel 2022, secondo cui “l'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni”.

Il combinato disposto delle due rende un quadro piuttosto chiaro circa l’intento del legoslatore di porre a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le allegazioni sottese ai propri provvedimenti, senza incertezze o ambiguità, sin dalla fase iniziale dell’attività accertativa.

Sennonché, dall’altro lato, occorre tenere presente che la giurisprudenza, nel tempo, ha individuato una serie di ipotesi in cui, nel giudizio tributario, l’onere della prova deve (o forse, meglio, doveva) essere ribaltato rispetto a quanto prescritto dal canone generale cristallizzato nel disposto dell’art. 2967 C.C.

Si possono ricordare i casi degli accertamenti induttivi, degli accertamenti automatizzati o meccanizzati, persino dell’ipotesi in cui venga contestata l’antieconomicità di un’operazione, o, ancora, il caso delle fatture per operazioni (asseritamente) inesistenti.

Ancora una volta, sarà l’interpretazione giurisprudenziale a stabilire se la riforma prevarrà, per il futuro, così elminando le ipotesi di inversione dell’onere probatorio, o se invece i casi particolari sopra ricordati troveranno nuovamente conferma, in questo modo attenuando enormemente la portata innovativa della norma in commento.

Si tratta di una questione di estrema rilevanza pratica, perché, a rigore, gli atti privi di indicazione degli elementi di prova dovrebbero essere qualificati come annullabili; si potrebbe tuttavia opinare che tuttavia, per le categorie di atti che contengono una pretesa, dal punto di vist asostanziale, sorretta da una prevenzione dalla portata equivalente a quella legale, sebbene di creazione giurisprudenziale, andrebbe escluso l’obbligo di indicazione dei mezzi di prova.

È un’eventualità che apparte in contrasto, oltre che con la lettera, anche con lo spirito della norma in commento; nondimeno, non si può escludere che si verifichi, anche considerando che la giurisprudenza ha mostrato una evidente tendenza ad agevolare l’attività dell’amministrazione finanziaria, anche a discapito del bilanciamento delle scelte interpretative con il principio del contraddittorio.

Infine, sono stati inseriti nell’articolo 7 i commi 1 bis, 1 ter e 1 quater.

Il primo ribadisce il divieto di integrazione o modificazione dell emotivazioni degli atti in sede giudiziale; si tratta dell’accoglimento, da pare del legislatore, di un principio che si era già saldamente affermato nella giurisprudenza di legittimità, riprendendo in modo pressoché pedissequo quanto statuito dalle Sezioni Unite (SSUU 4/9/2023, n. 25665).

Il secondo impone che gli atti dlla riscossione indichino, per gli interessi, la tipologia, la norma tributaria di riferimento, il criteriod i determinazione, l’imposta in relazione alla quale sono stati calcolati, la data di decorrenza e i tassi applicati.

Il comma 1 quater, da ultimo, prescrive l’applicazione del precente comma 1 ter anche agli atti della riscossione emesis nei confronti dei coobbligati.

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