Incostituzionale l’art. 18 comma 7 legge 300/1970 come modificato dalla riforma fornero limitamente alla parola “manifesta”

FMS | 15 luglio 2022
Incostituzionale l’art. 18 comma 7 legge 300/1970 come modificato dalla riforma fornero limitamente alla parola “manifesta”

Con la sentenza n. 125 del 25.5.2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 comma 7 legge 300/1970, come modificato dalla legge 92/2012, limitatamente alla parola “manifesta”.

Tale sentenza origina dall’ordinanza 97 del 6 maggio 2021, con il quale il Tribunale di Ravenna aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 comma 7 legge 300/1970 come modificato dalla riforma Fornero. Secondo il giudice a quo, infatti, la norma in esame sarebbe in contrasto con molteplici parametri costituzionali. 

In primo luogo, vi sarebbe una “ingiustificata, irrazionale ed illegittima differenziazione” tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Solo, infatti, nella prima ipotesi sarebbe richiesta una manifesta insussistenza del fatto e tale differenziazione non avrebbe una giustificazione plausibile.

Secondo il Giudice rimettente, il vulnus al principio di uguaglianza si coglierebbe anche nel confronto con la disciplina dei licenziamenti collettivi. In tale disciplina, nel caso di violazione dei criteri di scelta, è prevista la reintegra dei lavoratori licenziati, preclusa invece nel caso di licenziamenti individuali per ragioni economiche. Il Giudice rimettente continua, rilevando come il criterio individuato dal legislatore sia incerto nella sua applicazione concreta e carente di “un preciso e concreto metro di giudizio”, idoneo a definire il carattere della manifesta insussistenza.

Da ultimo, per il giudice a quo, sarebbe irragionevole la scelta di invertire l’onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore. La Corte Costituzionale ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente, in relazione all’art. 3 della Costituzione.
Prima di procedere con l’esame dell’illegittimità costituzionale, la Corte Costituzionale si sofferma sul sindacato che il Giudice può compiere nell’esaminare le ragioni di legittimità del licenziamento e sulle diverse ipotesi in cui il lavoratore ha diritto alla reintegra o semplicemente alla tutela indennitaria.

In relazione al primo profilo, richiamando la propria precedente sentenza 59/2021, la Corte Costituzionale ribadisce che il sindacato del giudice è di mera legittimità, non potendo sconfinare in un giudizio di congruità e di opportunità delle scelte imprenditoriali. A tal proposito, la Corte rileva come la preclusione di un sindacato più penetrante emerge anche dall’art. 30 comma 1, primo periodo della legge 4 novembre 2010, che oggi consente di impugnare per violazione di norme di diritto la sentenza che travalichi i limiti posti dalla legge per la valutazione della legge.

In relazione al secondo aspetto, la Corte Costituzionale evidenzia come il richiamo all’insussistenza del fatto, limiti la tutela reintegratoria, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, solo ai vizi più gravi, che investono il nucleo stesso della scelta imprenditoriale, confluita nell’atto di recesso. Rientrano invece nell’area della tutela indennitaria le ipotesi in cui il licenziamento è sì illegittimo, ma per aspetti che esulano dal fatto giuridicamente rilevante. “In tale ambito si colloca il mancato rispetto dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile”.

Una volta svolto questo breve excursus, la Corte rileva come il requisito del carattere manifesto dell’insussistenza del fatto sia in prima battuta indeterminato. Il discrimine tra evidenza conclamata del vizio e insussistenza pura e semplice è di difficile determinazione: il criterio scelto dal legislatore si presta infatti, a detta della Corte Costituzionale, a incertezze applicative, potendo quindi condurre a risultati difformi, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento.

In altre parole, il giudice si trova a dover effettuare una valutazione priva di ogni criterio direttivo. In secondo luogo, la Corte Costituzionale ritiene che la valutazione sarebbe priva anche di un fondamento empirico. Infatti, secondo il giudizio della Corte, “la sussistenza di un fatto non si presta a controvertibili graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto un’alternativa netta, che l’accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi”. La Corte osserva, peraltro, che l’elemento della manifesta insussistenza non trova una razionale ragion d’essere neppure nella distinzione che intercorre tra licenziamenti disciplinari e i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Non solo. Secondo la Corte, il presupposto in esame non ha alcuna attinenza neppure con il disvalore del licenziamento intimato, che non è più grave, solo perché l’insussistenza può essere accertata in giudizio.

Per la Corte peraltro “il criterio della manifesta insussistenza, inoltre, risulta eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale, legata alla linearità e alla celerità dell’accertamento”. Da ultimo la Corte rileva come tale criterio impone al Giudice e alle parti una serie di incombenti ed accertamenti che vanno a contrastare con l’obiettivo della rapidità del processo, della maggiore prevedibilità delle decisioni con la finalità dell’equa redistribuzione delle tutele dell’impiego, che sono capisaldi della riforma Fornero.

In altre parole, l’irragionevolezza intrinseca della disciplina censurata risiede anche in uno squilibrio tra i fini enunciati e i mezzi prescelti. Alla luce di tutto quanto sopra, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 comma 7 legge 300/1970 come modificato dalla legge 92 del 2012 limitatamente alla parola “manifesta”. A detta di chi scrive il profilo più interessante della sentenza è l’excursus che la Corte fa in merito all’applicazione della tutela reintegratoria e della tutela indennitaria nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La Corte Costituzionale sembra infatti volersi distaccare dall’orientamento, sempre più rilevante sviluppatosi in Corte di Cassazione, che estende la tutela reintegratoria anche all’ipotesi di violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare. La Corte Costituzionale, sul punto, ricorda come compito del giudice sia semplicemente una verifica di legittimità delle condizioni che giustificano il licenziamento e ritiene che il lavoratore abbia diritto alla reintegra solo qualora i vizi attengano alla sussistenza delle ragioni che portano al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Qualora tali ragioni sussistano e vi sia però una violazione dei criteri di buona fede e correttezza nell’individuazione del lavoratore da licenziare, quest’ultimo avrà diritto alla mera tutela indennitaria. Sarà interessante verificare se la Corte di Cassazione si adeguerà all’interpretazione più restrittiva e conforme al testo della norma patrocinata dalla Corte Costituzionale o se invece darà seguito all’orientamento che fornisce un’interpretazione più estensiva e più tutelante per il lavoratore.

Logo FMS Associati
Milano
Corso Buenos Aires, 60
info.mi@fmsassociati.it
Pavia
27100 - Via Cardano, 4
info.pv@fmsassociati.it
Voghera
27058 - Via Plana, 3
info.vg@fmsassociati.it
Alessandria
15121 - Via Marengo, 33
info.al@fmsassociati.it
Contact Center+39 0382 28382
FMS © 2024 FMS Associati | C.F e P.IVA 02572050181 | Privacy & Cookies