Il lavoratore licenziato per condotte non tipizzate punibili con sanzioni conservative ha diritto alla tutela reintegratoria

FMS | 25 maggio 2022
Il lavoratore licenziato per condotte non tipizzate punibili con sanzioni conservative ha diritto alla tutela reintegratoria

Con tre recenti sentenze (la n. 11665 del 11.4.2022 e la n. 13064 e 13065 del 26.4.2022), la Cassazione è tornata sul tema di quale tutela spetti al lavoratore che sia stato licenziato a causa di una condotta che è punita dal CCNL o dal regolamento aziendale con una sanzione conservativa espressa attraverso clausole generali o elastiche.

L’orientamento sinora prevalente aveva infatti sostenuto che l’accesso alla tutela reale, di cui all’art. 18 comma 4 legge 300/1970, fosse subordinato ad una valutazione di proporzionalità fra sanzione conservativa e fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva e che, in tutti i casi in cui il CCNL rimetta al giudice la valutazione di una simile proporzionalità, il lavoratore ha diritto alla tutela indennitaria di cui all’art. 18 comma 5 legge 300/1970. (tra le altre Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 13533/2019, n. 19578/2019 e n. 31839/2019). Tale orientamento ha sempre fatto leva su due diversi argomenti: il primo è la svolta operata dalla riforma Fornero, e poi in maniera ancora più marcata dal jobs act, di considerare la tutela reintegratoria come eccezionale e residuale; il secondo è la necessità di garantire l’esigenza del datore di lavoro di conoscere in via preventiva la rappresentazione dell’illegittimità del provvedimento espulsivo che intende irrogare e le conseguenze di tale illegittimità.

La sentenza n. 11665 dell’11 aprile 2022 non condivide tale orientamento e ritiene che, anche nel caso in cui la condotta sia punita con una sanzione conservativa espressa attraverso una clausola generale o elastica nel CCNL, in caso di licenziamento, debba trovare applicazione la tutela di cui all’art. 18 comma 4 legge 300/1970. La Suprema Corte inizia il proprio ragionamento dal tenore letterale dell’art. 18 comma 4 che assimila l’insussistenza del fatto contestato alle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base della contrattazione collettiva, rilevando come tale disposizione si ponga in continuità con la giurisprudenza che ha statuito che il datore di lavoro non può disporre il licenziamento qualora la condotta contestata sia sanzionata dal CCNL con una sanzione conservativa (tra le altre Cass. Civ. Sez. Lavoro 32500/2018).

La Corte osserva, infatti, come condotte, che in astratto possono configurare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge, non possono rientrare nel novero, qualora l’autonomia collettiva le abbia espressamente escluse, prevedendo per esse una sanzione conservativa. E questo, da un lato, sulla base del principio della derogabilità in melius da parte della contrattazione collettiva dei concetti di giusta causa e giustificato motivo soggettivo e di proporzionalità della sanzione e, dall’altro, sulla base del potere del giudice di valutare la legittimità del licenziamento sotto il profilo della proporzionalità, anche in base alle previsioni contenute nei contratti collettivi. Secondo la Cassazione tale potere del giudice trova un fondamento normativo nell’art. 30 comma 3 della legge 183/2010 laddove è espressamente previsto che: “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, titolo VIII, e successive modificazioni". In buona sostanza, pertanto il giudice si trova di fronte a un procedimento bifasico: prima deve valutare se il licenziamento disciplinare è legittimo o no e, quindi, valutare quale tutela sia in concreto applicabile in caso di licenziamento illegittimo.

E in tale valutazione il giudice deve tenere a mente che “laddove la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva attraverso una clausola generale - graduando la condotta con riguardo ad una sua particolare gravità ed utilizzando nella descrizione della fattispecie espressioni che necessitano di essere riempite di contenuto - rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola utilizzando standard conformi ai valori dell'ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità”.

In tal caso, infatti, secondo la Cassazione “tale operazione non si esaurisce in una generica valutazione di proporzionalità della stessa rispetto alla sanzione irrogata, dal che deriverebbe l'applicazione dello Statuto, art. 18, comma 5, ma realizza una vera e propria sussunzione dei fatti contestati al dipendente nell'una o nell'altra fattispecie contemplata dalla disciplina collettiva”. E la Cassazione chiarisce ulteriormente che: “l'attività di sussunzione della condotta contestata al lavoratore nella previsione contrattuale espressa attraverso clausole generali o elastiche non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione aspetto al fatto contestato, ma si arresta alla interpretazione ed applicazione della norma contrattuale, rimanendo nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.

Non si tratta di una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma di una interpretazione del contratto collettivo e della sua applicazione alla fattispecie concreta”. La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ritiene infatti che “la tipizzazione operata dalla disciplina collettiva non può essere di per sè decisiva e utilizzabile come elemento dirimente per tracciare i contorni ed i limiti delle diverse tutele da applicare qualora si accerti l'illegittimità del recesso. Nel caso in cui nel contratto collettivo siano presenti formule generali, norme elastiche, norme di chiusura, la mancata tipizzazione di alcune condotte tra quelle suscettibili di essere punite con una sanzione conservativa non è di per sè significativa della volontà delle parti sociali di escluderle da quelle meritevoli di una sanzione più lieve rispetto al licenziamento”.

Sul punto la Suprema Corte chiarisce anche come tale interpretazione dell’art. 18, commi 4 e 5, non si pone in contrasto con l’esigenza del datore di lavoro di conoscere preventivamente le conseguenze di un licenziamento illegittimo, ma costituisce un giusto bilanciamento ai contrapposti interessi delle parti. E in tale ragionamento, la Corte richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 59/2021, che ha chiaramente statuito che “nell'apprestare le garanzie necessarie a tutelare la persona del lavoratore, il legislatore...è vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza". In particolare, seppur con riguardo al comma 7 dell'art. 18, la Corte Costituzionale ha affermato che le "notevoli implicazioni" connesse alla "alternativa fra una più incisiva tutela reintegratoria o una meramente indennitaria" e l'irragionevolezza derivante dalla scelta di riconnettere a "fattori contingenti" impropri o privi di attinenza con il disvalore del licenziamento il discrimine tra le due forme di tutela applicabile”.

E nella sentenza 150/2020 il Giudice delle Leggi ha chiarito che: “in un prudente bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di uniformità di trattamento e di prevedibilità dei costi di un atto, che l'ordinamento qualifica pur sempre come illecito, non può sacrificare in maniera sproporzionata l'apprezzamento delle particolarità del caso concreto, peraltro accompagnato da vincoli e garanzie dirette ad assicurarne la trasparenza e il fondamento razionale”. Sulla base di tali richiami ai principi espressi dalla Corte Costituzionale, la Cassazione ritiene che il discrimine tra tutela reintegratoria e tutela indennitaria collocato nella tipizzazione dei contratti collettivi non escluda la possibilità di interpretazione ed applicazione giudiziale delle clausole generali ed elastiche. E questo aldilà dello spirito della riforma Fornero, che, però, secondo la Suprema Corte, non ha privato il giudice del potere di sussunzione del fatto in concreto accertato nella fattispecie astratta prevista dalla norma collettiva. E per la Corte di Cassazione, se la finalità dell’art. 18 comma 4 è quella di valorizzare l’autonomia collettiva e imporre la tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per comportamenti che il ccnl punisce con sanzioni conservative, allora tale funzione è svolta in modo analoga sia che la condotta sia specificatamente tipizzata sia nel caso in cui sia contenuta in clausole elastiche o generali.

La Corte di Cassazione pertanto conclude affermando che “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellata dalla L. n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo”.

E tale orientamento è stato ribadito dalle sentenze gemelle n. 13064 e n. 13065 del 26 aprile 2022, che hanno integralmente richiamato il principio espresso dalla sentenza in commento. Chi scrive non condivide i primi commenti che hanno ritenuto che con questa sentenza la Corte di Cassazione abbia compiuto un’ulteriore erosione della riforma Fornero, ritenendo quindi che la Corte di Cassazione abbia aggirato in via interpretativa i limiti di cui alla riforma. Infatti, pare convincente e condivisibile l’assunto espresso dalla Cassazione secondo il quale l’opera svolta nel caso di specie dalla Cassazione sia un’opera di sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta prevista nelle clausole generali o elastiche. E la riforma Fornero non aveva certamente la volontà di limitare o addirittura escludere il potere del giudice di sussumere il caso concreto nella fattispecie astratta, anche se espressa tramite una clausola generale o elastica.

La riforma Fornero, e poi in maniera più marcata il jobs act, hanno voluto certamente limitare il potere discrezionale del Giudice (specie in punto valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva) e consentire al datore di lavoro di avere una ragionevole certezza in via preventiva circa le ragionevoli conseguenze della dichiarazione di illegittimità di un licenziamento. Ma tali obiettivi, anche alla luce della giurisprudenza costituzionali, devono essere bilanciati con la necessaria valutazione delle particolarità del caso concreto.

Peraltro, prevedere una diversa tutela, in caso di licenziamento illegittimo, basata semplicemente sul fatto che la condotta sia specificatamente tipizzata in una clausola di un CCNL o sia tipizzata in una clausola generale o elastica, costituisce un’irragionevole discriminazione. Alla luce del contrasto giurisprudenziale che si è sviluppato, e proprio nell’ottica di tutelare le ragioni del datore di lavoro in punto prevedibilità delle conseguenze del licenziamento illegittimo, è auspicabile, a breve, un intervento delle Sezioni Unite che possano indicare una linea interpretativa univoca e chiara.

Logo FMS Associati
Milano
Corso Buenos Aires, 60
info.mi@fmsassociati.it
Pavia
27100 - Via Cardano, 4
info.pv@fmsassociati.it
Voghera
27058 - Via Plana, 3
info.vg@fmsassociati.it
Alessandria
15121 - Via Marengo, 33
info.al@fmsassociati.it
Contact Center+39 0382 28382
FMS © 2024 FMS Associati | C.F e P.IVA 02572050181 | Privacy & Cookies