Il licenziamento del lavoratore per assenza ingiustificata a seguito di trasferimento illegittimo

FMS | 04 aprile 2022
Il licenziamento del lavoratore per assenza ingiustificata a seguito di trasferimento illegittimo

Con due recente pronunce, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema del licenziamento del lavoratore per giusta causa, per la mancata presentazione in servizio del lavoratore in seguito al trasferimento illegittimo.

In entrambi i casi, infatti, il lavoratore aveva impugnato in via stragiudiziale il trasferimento ritenendolo illegittimo e si era quindi astenuto dalla propria prestazione. Il datore di lavoro aveva quindi contestato l’assenza ingiustificata al lavoratore, procedendo infine al licenziamento. 

Il lavoratore ha quindi impugnato il licenziamento subito, contestando altresì l’illegittimità del provvedimento di trasferimento. Secondo la prospettazione fornita dalla difesa del lavoratore, infatti, alla dichiarazione di illegittimità del trasferimento, consegue la legittimità del rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione e pertanto il licenziamento è privo di giusta causa e quindi illegittimo.

Prima di passare all’esame delle ultime due pronunce, occorre precisare che, sul tema in seno alla Cassazione Sezione Lavoro, si erano sviluppati due orientamenti difformi. Secondo il primo orientamento (che è stato poi superato a partire dalla seconda metà del primo decennio degli anni 2000) il provvedimento del datore di lavoro di trasferimento di sede di un lavoratore che non sia adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c. determina la nullità dello stesso e integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un’eccezione d’inadempimento (art. 1460 c.c.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti; non potendosi vieppiù ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali, che imponga l’ottemperanza agli stessi fino a un contrario accertamento in giudizio (Cass. Civ., Sez. Lav. 04/4771, 02/18209, 99/1074). Pertanto il licenziamento intimato per giusta causa per assenza ingiustificata, secondo tale orientamento, è da considerarsi illegittimo perché l’assenza del lavoratore è giustificata.

Le pronunce, oggetto di approfondimento nel presente articolo, rientrano, invece, nel secondo filone giurisprudenziale, ormai prevalente, che disattende tale interpretazione. In particolare, con l’Ordinanza del 10 febbraio 2022, n. 4404 ha statuito che:

“l’inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo dovrà, quindi, essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”. E prosegue: “La relativa verifica (...) dovrà essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell'ambito delle quali si potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore organizzazione datoriale e più in generale realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell'ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost."; si conclude che "tale verifica è rimessa all'esame del giudice di merito” Pochi giorni dopo, la Suprema Corte con la sentenza n. 7392 del 7 marzo 2022, ha ribadito lo stesso principio. In particolare, la Corte di Cassazione ha ribadito che: “le problematiche riguardanti, invece, la legittimità del trasferimento, con particolare riguardo alla applicabilità soggettiva del citato Accordo ovvero alla nullità dello stesso, non si palesano decisive, ai fini del presente giudizio concernente il disposto licenziamento, perchè è orientamento ormai consolidato quello secondo cui, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede”. In merito al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, la giurisprudenza ha statuito che tale principio si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. Civ. 4.5.2009, n. 10182). Ogni comportamento difforme risulta pertanto contrario al dovere di buona fede.\ E, in materia di rifiuto del lavoratore a rendere la propria prestazione a fronte di un trasferimento illegittimo, con sentenza del 5.1.2007 n. 43 la Cassazione ha statuito che “il giudice, ove venga proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse; qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato”.

Nel caso esaminato dalla sentenza n. 43/2007 si è ritenuto il rifiuto di adempimento opposto dal dipendente contrario a buona fede poiché non accompagnato da contestuale offerta di esecuzione della prestazione nella sede di provenienza, quindi reazione sproporzionata rispetto al provvedimento di trasferimento presumibilmente viziato, tale da giustificare il successivo licenziamento. Tale interpretazione rigorista nei confronti del lavoratore non convince completamente.

A detta di chi scrive, infatti, è evidente la gravità dell’inadempimento del datore di lavoro che ha disposto un trasferimento senza le necessarie ragioni tecniche, organizzative ed economiche e tale gravità giustifica, come ben osservato dall’orientamento ormai minoritario e superato, l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. del lavoratore.

Peraltro, tale illegittimità rileva anche perché non esiste (o forse non esisteva) nel nostro ordinamento un principio di presunzione di legittimità dell’agire del datore di lavoro. L’interpretazione giurisprudenziale ormai prevalente pare contrastare anche con la giurisprudenza in materia di buona fede nell’esecuzione del contratto. La giurisprudenza sopra richiamata. sul punto, infatti, chiarisce che si può pretendere dalla parte un atto che non comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico. E’ evidente che un trasferimento (anche quando è legittimo) comporta un significativo sacrificio per il lavoratore: produce un cambio della propria vita lavorativa e spesso anche della propria vita extra-lavorativa. Un simile sacrificio può essere imposto solo in presenza delle ragioni tecniche, organizzative ed economiche. In assenza di tali ragioni, pare addirittura contrario alla buona fede, pretendere che il lavoratore adempia comunque all’ordine di trasferimento illegittimo, pena il rischio di un licenziamento per assenza ingiustificata.

Ma la Suprema Corte si è spinta oltre sostenendo che, nella valutazione comparativa dei presunti inadempimenti reciproci, non si può prescindere dalla doverosa considerazione per cui il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo una parte rendersi totalmente inadempiente e invocare l’art. 1460 c.c. soltanto se è totalmente inadempiente l’altra parte (Cass. Civ., Sez. Lav. 98/1307).

In altre parole, portando all’estremo le conseguenze del principio espresso in questa sentenza (che per fortuna pare essere rimasta isolata), finché il datore di lavoro continua a corrispondere al lavoratore la retribuzione, il lavoratore sarebbe quindi costretto ad adempiere a qualsiasi ordine del datore di lavoro (pena il rischio persino di un licenziamento), fatta salva la tutela giurisdizionale che interverrebbe però successivamente ad accertare l’illegittimità del comportamento datoriale.

In conclusione, e ritornando alle pronunce di inizio anno 2022, la Suprema Corte ha quindi ribadito che l’illegittimità del provvedimento di trasferimento non è di per sé sufficiente a giustificare il rifiuto del lavoratore a effettuare la propria prestazione, ma occorre altresì che tale inottemperanza sia conforme ai canoni di buona fede. In caso contrario, pertanto il licenziamento intimato dal datore di lavoro è legittimo.

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