Licenziamento collettivo e tutela reintegratoria

FMS | 26 aprile 2022
Licenziamento collettivo e tutela reintegratoria

La comunicazione al lavoratore, priva delle modalita’ applicative dei criteri concordati con l’oo.ss. in caso di licenziamento collettivo, determina il diritto alla reintegra

La Cassazione, con la sentenza n. 9800 del 25.3.2022, ha riconosciuto il diritto alla reintegra dei lavoratori interessati, in caso di licenziamento collettivo, qualora il datore di lavoro non abbia indicato, nella comunicazione di recesso ai singoli lavoratori di cui all'art. 4 comma 9 legge 223/1991, le modalità applicative dei criteri concordati con le organizzazioni sindacali. Secondo la Suprema Corte, infatti, l'assenza di tali requisiti non integra una mera irregolarità formale, ma comporta una violazione dei criteri di scelta. Nel caso di specie, la società resistente aveva proceduto al licenziamento collettivo di alcuni dipendenti, non indicando nella comunicazione rivolta ai singoli lavoratori di cui all’art. 4 comma 9 legge 223/1991, le concrete modalità applicative dei criteri concordati con le organizzazioni sindacali per determinare quali lavoratori coinvolgere nel procedimento.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto l’illegittimità del licenziamento collettivo, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti e condannato la società al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell’art. 18 comma 7 legge n. 300 del 1970. Secondo la Corte d’Appello, la mancata indicazione, nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9 legge 223/1991, diretta ai lavoratori, dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore e dei dati fattuali relativi ai carichi di famiglia costituiva una mera irregolarità formale, che, pertanto, non dava diritto alla reintegra. La Suprema Corte non condivide le conclusioni a cui è giunta la Corte d’Appello. Nella propria motivazione, in primo luogo, la Cassazione osserva come la disciplina di cui alla legge 223/1991 abbia una funzione principalmente di garanzia procedimentale: tale disciplina, infatti, da un lato, pone le organizzazioni sindacali nella condizione di poter concordare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, dall’altro assicura al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell'esercizio del potere privato del datore di lavoro.

La comunicazione di cui all’art. 4 comma 9 legge 223/1991, che fa obbligo di indicare puntualmente le modalità con cui è stata data applicazione ai criteri concordati con le OO.SS., consente ai lavoratori interessati, ai sindacati e agli organi amministrativi di verificare la correttezza dell’operazione e la rispondenza rispetto agli accordi raggiunti. Pertanto, da tale comunicazione dev’essere possibile desumere non solo i criteri di scelta, ma anche i presupposti di fatto, sulla base dei quali, i criteri di scelta sono stati concretamente applicati. E nel caso di specie, la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare e dei punteggi ricollegati ai criteri selezionati ha impedito ogni verifica in merito alla coerenza tra i criteri individuati e la loro concreta applicazione.

Una volta accertata tale violazione, la Cassazione si concentra sul regime sanzionatorio della violazione stessa. Sul punto, la Suprema Corte ricorda come vanno distinti il caso della violazione delle procedure richiamate all'art. 4, comma 12 della legge 223/1991, per il quale opera, la, tutela meramente indennitaria, dal caso della violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 4 comma 1, per il quale si applica la tutela reintegratoria.

In relazione alla comunicazione di cui all’art. 4 comma 9 legge 223/1991, la Cassazione ritiene che si sia in presenza di una violazione delle procedure, nel caso di mancata corrispondenza della comunicazione con il modello legale (un’incompletezza formale). Invece, si ha la violazione dei criteri di scelta, quando i criteri di scelta siano illegittimi, perché in violazione della legge, o illegittimamente applicati, perché attuati in difformità rispetto alle previsioni legali o collettive. Nel caso di specie, secondo la Cassazione si è in presenza di una violazione dei criteri di scelta: infatti il datore di lavoro avrebbe dovuto specificare, nella comunicazione ex art. 4, comma 9 legge 223/1991, le modalità applicative dei criteri concordati con le OO.SS., in modo che essa potesse raggiungere quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui - e non altri dipendenti - sia stato destinatario del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva. E invece il datore di lavoro ha fornito la generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare dei dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati - astrattamente - ai criteri selezionati (anzianità di famiglia, esigenze tecnico produttive ed organizzative, carichi di famiglia). A detta di chi scrive, l’interpretazione fornita dalla Cassazione è condivisibile per diversi motivi. In primo luogo, qualora ci si limitasse a dare un’interpretazione meramente letterale e formale del concetto di “violazione dei criteri di scelta” si assisterebbe a uno svuotamento del concetto stesso e quindi anche della norma. Al fine di non vedersi contestare una violazione dei criteri di scelta, il datore di lavoro potrebbe richiamare, nella comunicazione di licenziamento al singolo lavoratore, i criteri individuati nell’accordo concluso con le organizzazioni sindacali, senza alcun obbligo di specificare come in concreto siano stati applicati.

In seconda battuta, una simile interpretazione formale limiterebbe, in maniera significativa, il diritto di difesa del lavoratore, in particolare sotto l’aspetto della contestazione dell’illegittimità del licenziamento subito. Il lavoratore, infatti, non avendo contezza della concreta applicazione dei criteri di scelta che hanno portato al suo licenziamento, si troverebbe nella condizione di impugnare “al buio” e in maniera generica il licenziamento subito, con il serio rischio di vedersi eccepire la genericità del motivo di impugnazione. E, infine, una simile interpretazione formale consentirebbe al datore di lavoro di esplicitare le ragioni che hanno portato al licenziamento in corso di causa, in palese violazione del principio, secondo il quale le motivazioni del provvedimento espulsivo devono essere chiaramente indicate nel provvedimento stesso. In conclusione, pertanto la Cassazione, nella sentenza in esame, ribadisce che la lacunosità della comunicazione inviata al lavoratore si è tradotta in un'illegittima applicazione dei criteri di scelta con conseguente dichiarazione di illegittimità del licenziamento, con condanna del datore di alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 4, testo novellato dalla Legge Fornero.

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