NFT oggetto di provvedimenti giudiziari: il modello anglosassone applicato all’ordinamento italiano.

FMS | 26 aprile 2022
NFT oggetto di provvedimenti giudiziari: il modello anglosassone applicato all’ordinamento italiano.

NFT oggetto di provvedimenti giudiziari: il modello anglosassone applicato all’ordinamento italiano. 

  1. NFT, Blockchain e smart contract – cosa sono in breve

Cosa siano gli NFT è ormai noto a tutti: i non fungible token, ossia i gettoni non replicabili nati già nel 2014 e che nel 2021 hanno trovato la loro effettiva e decisiva diffusione, costituiscono la più innovativa forma di certificati di proprietà su opere digitali o fisiche.

Più precisamente, gli NFT sono costituiti da un contenuto digitale e rappresentano oggetti del mondo reale, dalla musica all’opera d’arte e, non essendo fungibili, non sono intercambiabili, a differenza, invece, delle criptovalute.

Sono veri e propri gettoni dal valore proprio, unico, irripetibile e non frazionabile e che, come si vedrà infra, includono al suo interno una serie di informazioni non assoggettabili a modifiche.

I loro acquirenti, quindi, non acquistano l’opera in sé ma il diritto sull’opera stessa garantito dal c.d. smart contract., da intendersi come funzioni “if / then” incorporate in software o protocolli informatici.

Il legislatore italiano, con il D.L. 135/2018 convertito in legge 12/2019, non si è fatto attendere e ha definito all’art. 8 ter lo smart contract come un programma per elaboratore che opera su tecnologie  basate  su  registri  distribuiti  e  la   cui esecuzione vincola automaticamente due o più  parti  sulla  base  di effetti predefiniti dalle stesse. 

Allo stesso momento ha definito le “tecnologie basate su  registri  distribuiti” (blockchain) quelle tecnologie  e  i  protocolli  informatici  che  usano   un   registro condiviso,  distribuito,  replicabile,  accessibile  simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi  crittografiche,  tali  da consentire  la  registrazione,  la   convalida,   l'aggiornamento   e l'archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente  protetti  da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non  alterabili  e non modificabili.

Ed è proprio tramite gli smart e il loro funzionamento che può avvenire la trasposizione digitale di accordi che si concludono nel mondo reale.

Infatti, gli Nft essendo insita in loro la caratteristica di essere il titolo di proprietà digitale quale certificazione basata sulla crittografia di garanzia e unicità, consentono ai propri creatori di averne il controllo.

Tuttavia, occorre che vi sia alla base una formalizzazione di contratto di proprietà della medesima opera: lo smart contract appunto che include tutto ciò che riguarda il token dalla proprietà attuale, ai passaggi di proprietà o ancora la eventuale concessione dei diritti che il proprietario decide di fare a un soggetto terzo.

Il “prodotto” dell’acquisto di NFT è quindi portato in formato digitale ed espresso con un hashing, la sequenza compressa di numeri da 1 a 0, non invertibile.

Il c.d. hash viene poi memorizzato su una blockchain con una marca temporale associata così come tutti i vari ed eventuali passaggi di proprietà: è proprio questo meccanismo che consente di assicurare la proprietà e autenticità dell’opera.

Il codice NFT viene poi archiviato nel wallet, un portafoglio virtuale protetto da password che, tra le altre cose è anche utilizzato per conservare la criptovaluta.

  1. L’assoggettabilità degli NFT ai provvedimenti di autorità giudiziaria

La rapida diffusione di questa tipologia di oggetti digitali offre lo spunto per diverse riflessioni: ci si può domandare come effettivamente questi NFT possono essere fonti di guadagno, qual è la corretta gestione degli stessi oppure se, e come possano essere oggetto di provvedimenti da parte dell’autorità giudiziaria.

In particolare, intendiamo soffermarci su quest’ultimo tema, riguardo al quale la cronaca ha recentemente offerto un esempio di grande interesse: alludiamo alla recente attività di sequestro emesso dall’autorità fiscale del Regno Unito avente ad oggetto proprio i noti NFT.

Infatti, per la prima volta dalla loro nascita, la Her majesty's revenue and customs (Hmrc), nel corso di un’indagine che ha raggiunto il proprio culmine con l’accertamento di una frode per oltre 1.4 milioni di sterline e l’arresto di tre persone, è giunta a sottoporre sotto sequestro anche 3 NFT.

L’Agenzia della Corona ha fatto sapere che si tratta di crypto art per un valore di oltre 5 mila sterline.

Naturalmente il provvedimento non aveva come scopo quello di prendere il controllo delle opere stesse ma di impedirne la vendita attraverso un’ingiunzione da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Ciò che occorre tenere a mente è che l’esempio anglosassone, seppur assolutamente privo precedenti, non sarà nemmeno l’ultimo e non può essere considerato un caso isolato. 

Esaminando il caso accennato sotto il profilo giuridico si rinviene un provvedimento dell’autorità giudiziaria avente ad oggetto tre hashing di opere d’arte poste sotto sequestro affinché non venissero poste in vendita.

  1. I token e le procedure di espropriazione forzata 

Questo episodio induce a domandarsi se l’Ordinamento italiano offra gli strumenti per sottoporre a vincolo gli NFT.

Ora, preliminarmente, vale la pena di ricordare che, in generale, i beni possono essere assoggettati a tre categorie di provvedimenti che prevedono lo spossessamento: quelli cautelari, quelli con finalità espropriativa, e quelli con finalità sanzionatoria.

Poiché l’espropriazione forzata è quella più diffusamente regolata e funge da paradigma per le altre tipologie di provvedimento, per iniziare ad affrontare il tema, si ritiene di fare riferimento a quella.

Applicando i principi cardine del processo esecutivo, infatti, si possono elaborare alcune soluzioni.

Come detto, gli NFT altro non sono che una stringa di numeri, archiviati in un wallet e presenti in una blockchain, un database decentralizzato ed immutabile composto da una rete di computer, che comunicano tra loro in modo indipendente ed autonomo, e utile alla registrazione delle transazioni e alla tracciabilità dei beni in una rete commerciale.

Tale decentralizzazione risulta avere pro e contro: da un lato garantisce indistruttibilità, sicurezza e affidabilità dall’altro lato, però, la rete rimane svincolata da qualsivoglia controllo e regolamentazione da parte delle autorità nazionali o sovranazionali. 

Sulla base di questa considerazione preliminare, la domanda è se, e come, l’NFT possa essere oggetti di pignoramento.

Quanto al primo aspetto, si ritiene che la risposta debba essere affermativa: ancorché immateriale, l’NFT è un bene, perché può formare oggetto di diritti ed è suscettibile di valutazione economia.

Al riguardo, vale la pena di sottolineare che la giurisprudenza ha preso posizione sul tema della pignorabilità dei beni immateriali di cui si avrà modo di argomentare diffusamente nel prosieguo. 

Il tema del modo di ottenere l’espropriazione forzata dell’NFT, invece, è più complesso.

Anzitutto, si pone l’interrogativo se si debba procedere con un’espropriazione diretta o presso terzi.

Da un lato, infatti, l’NFT non è fisicamente collocato presso il proprietario; dall’altro, pure essendo il file non individuabile, essendo inserito nella blockchain, solo il titolare ne può direttamente disporre.

Il che rileva, perché, consistendo il pignoramento in un vincolo di destinazione, con divieto di disporre del bene pignorato, il proprietario è inibito nell’utilizzo del bene e più precisamente, è tenuto alla integrale conservazione dello stesso 

Chi scrive, allo stato, ritiene che l’opzione preferibile sia quella della necessità di procedere all’espropriazione diretta.

Quanto al pignoramento presso il debitore, lo stesso potrebbe certamente custodire in un luogo ad esso riconducibile un dispositivo hardware wallet o software wallet, contenente il relativo hashing, ma l’Ufficiale giudiziario incontrerebbe il limite delle chiavi di accesso.

Infatti, se non fornite spontaneamente dall’esecutato, l’Ufficiale Giudiziario potrebbe trovarsi dinnanzi alla scelta di limitarsi ad intimare il debitore delle conseguenze penali ove non dovesse mettere a disposizione tutti i beni di sua proprietà oppure, considerare il dispositivo come una cassaforte.

In tal caso, applicando in parte il disposto di cui all’art. 513 c. 2 c.p.c., potrebbe chiedere al Presidente del tribunale di farsi assistere dalla forza pubblica, o nel caso specifico da un soggetto specializzato, per tentare l’individuazione delle chiavi d’accesso.

Corre, infatti, l’obbligo precisare che anche se l’Ufficiale rinvenisse accanto al dispositivo appunti riportanti le credenziali, non potrebbe sottoporli a pignoramenti poiché potrebbero essere considerati alla stregua di manoscritti, ritenuti beni assolutamente impignorabili ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 514 n. 6 c.p.c..

Appare quindi, allo stato attuale, piuttosto incerto l’esito di tale procedura. 

Scenari differenti si potrebbero configurare se, invece, il creditore fosse al corrente della proprietà in capo al debitore dell’NFT sotto forma di web wallet, ossia un provider esterno, e avesse individuato la società intermediaria.

In tal caso si potrebbe profilare quanto disposto dal c. 3 art. 513 c.p.c. in merito al pignoramento di cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore ma delle quali egli può direttamente disporre. 

Seppur sembri facile ci sono almeno due criticità considerare.

La prima, e preliminare, è quella relativa alla verifica dell’effettiva proprietà del NTF: non vi sono modi per un controllo preventivo in tal senso e le policies di riservatezza delle società intermediarie sono stringenti; pertanto, potrebbe risultare difficile, o impossibile.

Il rischio è quindi quello che giunto il momento di vincolare il bene, questo non risulti (più) di proprietà del debitore. 

In secondo luogo, occorre considerare l’ubicazione della società di exchange: la maggior parte ha infatti sede all’estero, anche extra UE, e pertanto occorre, nella migliore delle ipotesi richiedere la conformità del titolo. In altri casi occorre verificare l’effettiva spendibilità del titolo esecutivo.

Posto e considerato quanto sopra, l’ufficiale giudiziario, dietro indicazione del creditore procedente potrebbe recarsi presso la sede del provider esterno affinché consegni, in supporto materiale, il bene da sottoporre a vincolo.

Da ultimo si potrebbe ancora ipotizzare un pignoramento presso terzi, dove la società è il terzo pignorato e, come un istituto bancario fornisce le chiavi per accedere alle cassette di sicurezza intestate al debitore, la stessa viene chiamata a fornire le chiavi di accesso al wallet contenente il bene, NFT. 

Si può, inoltre, considerare tale forma di esecuzione anche sotto un altro profilo e, all’uopo, occorre equiparare, per analogia, gli NFT con il bene immateriale per eccellenza frequentemente sottoposto a procedure coattive: le quote societarie.

Gli elementi comuni sono intuibili: la natura di bene non materiale, la portata di diritti economici e l’assenza di iscrizione degli stessi in appositi pubblici registri. 

In merito alle quote societarie, e all’assoggettabilità ad azioni esecutive, sia consentito ricordare che, come anticipato poco sopra, la giurisprudenza di legittimità  ha affermato che “La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 c.c., per cui ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813, ultima parte, c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, poiché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti” (cfrt. Cass. n. 22361/2009 nonché la più recente 39437/2021).

Sul punto corre l’obbligo precisare che, a seguito della riforma del 2003 dell’art. 2471 c.c. la procedura è assimilabile all’esecuzione immobiliare e non più a quella di presso terzi, cui la giurisprudenza dell’epoca era solita fare riferimento (a titolo esemplificativo Cass. 7409/1986).

Da ciò consegue chiaramente un aspetto: allo stesso modo il non fungible token può essere assoggettato a pignoramento, esattamente alla stregua della quota societaria.

  1. I token e le procedure di sequestro conservativo

Tornando al caso da cui trae spunto il presente articolo, si è giunti a interrogarsi in merito alla facoltà di sottoporre il token anche alla procedura di sequestro conservativo. 

Perseguendo l’equiparazione con la partecipazione di società, vale lo sforzo fare un’ultima considerazione.

A mente del disposto di cui all’art. 678 c.p.c. a sua volta richiamato dall’art. 669 duodecies c.p.c. la procedura di sequestro si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento del bene che ne è oggetto. 

Con particolare riferimento alle quote di s.r.l., come detto, si eseguirà a mezzo dell’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese. 

Quanto agli NFT, appare ragionevole richiamare la disposizione codicistica 669 duodecies c.p.c. secondo cui l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna avviene sotto il controllo del Giudice che ha emanato il provvedimento cautelare (ex art. 669 ter, 669 quater, 669 quinquies) il quale ne determina anche le modalità di attuazione.

In forza di quanto sopra, ai sensi dell’art. 671 c.p.c., il Giudice su istanza del creditore che, temendo di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo ex art. 2905 c.c. dei beni del debitore nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. 

Volendo quindi considerare i principi sopra richiamati il creditore, con l’attuazione delle procedure sommarie presenti anche nel nostro ordinamento e appena richiamate, potrebbe sottoporre a sequestro i token appartenenti al proprio debitore. 

Come si avrà già avuto modo di comprendere è un argomento del tutto inedito e in Italia, infatti, sulle procedure di espropriazione forzata non sono ancora stati annotati precedenti e nemmeno sui provvedimenti di sequestro come quello anglosassone da cui trae origine la presente riflessione.

Si rinviene, però, una pronuncia in tema di criptovalute del Tribunale di Brescia datata 18.07.2018 in forza della quale sussisterebbe l’impossibilità, di fatto, di espropriare le monete virtuali stante l’elevato contenuto tecnologico dei dispositivi di sicurezza e senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore.

Senza volersi dilungare oltre, sul punto corre l’obbligo di richiamare nuovamente la già citata normativa italiana entrata in vigore in data 11/02/2019 con la l. n. 12, e quindi successiva alla pronuncia appena richiamata in forza della quale, oltre al primo vero e proprio ingresso nel nostro ordinamento della definizione di blockchain e smart contract, è stata prevista espressamente la memorizzazione di un documento informatico attraverso l'uso di tecnologie basate su registri distribuiti che produca gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica che ne garantirebbe una maggior facilità nell’individuazione e tracciabilità delle criptovalute.

L’impianto normativo nazionale e internazionale deve, senza dubbio, ancora trovare una propria esatta costituzione e applicazione tuttavia, si è certi che la repentina evoluzione in materia condurrà molto presto la dottrina e la giurisprudenza ad interrogarsi in merito alla gestione di queste problematiche.

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