La proprietà intellettuale del software: la tutela tra diritto d’autore e brevetto

FMS | 27 giugno 2023
La proprietà intellettuale del software: la tutela tra diritto d’autore e brevetto

Per definizione, la “creatività” è la virtù creativa e la capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. Il termine è utilizzato anche per indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze.

È noto che la creatività sia un tratto qualificante dell’agire umano e pertanto, gli ordinamenti giuridici hanno ideato, per l’appunto, modi e strumenti per tutelarla. L’ordinamento nazionale offre una propria tutela con la proprietà industriale e la proprietà intellettuale.\ Il primo comprende quella branca del diritto che si occupa specificatamente dei rapporti giuridici instaurati nell’ambito dell'attività industriale e volta a tutelare e disciplinare la circolazione di particolari beni immateriali, i c.d. asset intangibili, meglio riconosciuti come i risultati dell´attività creativa ed inventiva dell´uomo e denominati "proprietà intellettuali o industriali".

Il diritto d’autore, invece, si riferisce a tutte le proprietà e produzioni artistiche, le opere originali come mezzo di espressione tangibile. L’ambito della tutela riguarda le opere dell’ingegno di carattere creativo riguardanti le scienze, la letteratura, la musica, le arti figurative, l’architettura, il teatro, la cinematografia, la radiodiffusione e, da ultimo, i programmi per elaboratore e le banche dati, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Infatti, seppur non sia di intuitiva connessione, l’attività creativa è tradizionalmente legata al concetto di proprietà: la proprietà industriale, infatti, era l’espressione con cui sin dal XIX secolo si indicavano i diritti correlati a segni distintivi e attività inventiva, in ragione dell’assolutezza e dell’esclusività dei medesimi. Ai giorni nostri, la logica si è evoluta ma non si è allontanata troppo dall’idea originaria. Le fonti del diritto industriale sono svariate e prima dell’entrata in vigore del codice della proprietà industriale con il D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, i riferimenti erano suddivisi in legge sui marchi, legge sui modelli e legge sulle invenzioni.

A seguito delle convenzioni internazionali, degli interventi del legislatore e dei mutamenti repentini, il legislatore italiano ha risposto alla necessità di un ricomporre un quadro sistematico della materia con il c.p.i. Proprio all’art. 1 è, infatti, stabilito che “l’espressione proprietà intellettuale comprende marchi e altri segni distintivo, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, segreti commerciali e nuove varietà vegetali”. Invece, il successivo art. 2 si premura di precisare che “I diritti di proprietà industriale si acquistano mediante brevettazione, mediante registrazione o negli altri modi previsti dal presente codice”.

Come emerge chiaramente dal disposto normativo, quindi, il legislatore ha previsto diversi strumenti per acquisire e tutelare i diritti relativi alla proprietà industriale e ognuno di esso è specifico per ogni prodotto: marchio, invenzione, disegni, modelli e per quanto interessa in questa sede, appunto, software. In questa sede ci si vuole soffermare proprio su quest’ultimo: il software e la sua tutela particolare proprio perché potenzialmente assoggettabile alla tutela della proprietà intellettuale e della proprietà industriale.\ In via preliminare occorre identificare la natura dello stesso: il software è un’opera d’ingegno e pertanto è un bene immateriale.

Tradizionalmente si richiama la definizione suggerita dall’OMPI nel 1984 secondo cui il software è “espressione di un insieme organizzato e strutturato di istruzioni (o simboli) contenuti in qualsiasi forma o supporto (nastro, disco, film, circuito), capace direttamente o indirettamente di far seguire o far ottenere una funzione, un compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione”. Si consideri, poi, che è principio ormai noto che il valore di questo insieme di istruzioni, anche sotto il profilo giuridico, non sta nel supporto su cui è registrato ma nel suo contenuto ideativo e il pericolo che corre l’ideatore non è quello che gi possa essere sottratto il supporto ma che il contenuto sia plagiato indebitamente. Il primo ordinamento che ha riconosciuto al software dignità di opera intellettuale è stato quello statunitense, mediante il Computer Software Amendment Act del 1980, a seguito la Comunità europea si è determinata a fornire ai programmi la protezione che si riconosce alle opere d’autore con la direttiva 91/250CEE. Direttiva che il nostro ordinamento ha recepito con il d.lgs 518/1992 che ha novellato la legge 633 sul diritto d’autore vigente e risalente ben al 1941. Nello specifico, è stato aggiunto al Capo III della l.d.a. la sezione VI denominato “Programmi per elaboratore”. Gli interventi legislativi non si sono, però, fermati anche complice il progresso tecnologico cui si stava assistendo proprio in quel decennio. Il legislatore nazionale, in ragione di quanto sopra, con il D.P.C.M. 244/1994 ha istituito il registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore volto appositamente ad attribuire pubblicità legale al software. S’intenda inoltre che, in questa sede, quando si parla di software si intendono tutti i tipi: open source, freeware, shareware e tutti gli altri programmi di pubblico dominio. Di pari passo anche la giurisprudenza, nel corso del tempo, ha avuto modo di affermare l’idea che i programmi per computer fossero opere di ingegno per l’originalità che presentavano e, alla stessa maniera, anche al software dovesse applicarsi la tutela prevista dal diritto d’autore.\ Sul punto la Corte di Cassazione con pronuncia n. 1956/1987 ha precisato che i programmi per elaboratore potevano essere ritenuti opere d’ingegno tutelabili in sede giudiziale solo quando fossero il risultato di uno sforzo creativo caratterizzato da un apporto nuovo nel campo informativo o quando avesse espresso soluzioni originali ai problemi di elaborazione dei dati. Addirittura, nel 1999 è stata ammessa la brevettabilità anche del software a condizione che lo stesso conduca ad un effetto tecnico che si spinga oltre la semplice interazione tra hardware e software. Nel corso del tempo, seppur con qualche incertezza, la giurisprudenza si è sempre mostrata orientata a voler assicurare la tutela anche al software, in ogni forma. A fronte di quanto sopra, è giunto il momento di illustrare quelli che sono gli strumenti volti alla tutela di questa forma di creazione. In particolare sono previste due forme di tutela e divergono a seconda di come si intenda il software stesso: la prima profila l’opera d’ingegno ai sensi dell’art. 2575 c.c., e quindi soggetta al diritto di autore mentre la seconda identifica l’invenzione industriale ai sensi dell’art.2585 c.c., e quindi soggetta a brevetto. Quanto alla prima, come già accennato, occorre necessariamente far riferimento alla Legge sul diritto d’autore poiché il software è di fatto assimilato ad un’opera letteraria. L’art. 2 c. 8 L.d.A. prevede, per l’appunto, che siano meritevoli di tutela i programmi per elaboratore in qualsiasi forma espressi, purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore. Si coglie l’occasione di precisare che tale tutela riguarda la forma espressiva del software e non le funzioni su cui il programma è basato. Il diritto di autore, infatti, protegge gli elementi intrinseci dello stesso: il codice sorgente, il codice oggetto e il materiale preparatorio e non i principi alla base del codice sorgente od oggetto di un programma. Certo è che, come per la disciplina generale, è necessaria la componente di creatività che, per ottenere la protezione d’autore, sussiste anche quando l’opera è composta da idee e nozioni già comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell’opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto ad opere precedenti. In questa sede, giova ricordare che il diritto d’autore, anche quello riferito al software, ha una componente morale, sempre attribuita all’autore del programma, e una di natura patrimoniale, cedibile a terzi. Tutti e due i profili sorgono al momento della creazione del programma, come previsto dall’art. 6, mentre ove si voglia conferire certezza, anche verso terzi, della data in cui il programma è venuto a esistenza, occorrerà procedere con il deposito di inedito presso la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori). Si accenna unicamente che il diritto d’autore sul software si differenzia da quello classico: nel caso di software all’autore è riservata la riproduzione permanente e temporanea, totale o parziale, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma. Il secondo strumento di tutela è, come si diceva, il brevetto, la cui disciplina generale è assoggettata alla legge sulle invenzioni n. 1127/1939, che trova la propria ispirazione dalla Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo. Non ci si può esimere dal rilevare che la disposizione codicistica, tuttavia, riporta che non sono considerati come invenzioni, e quindi non brevettabili, i programmi di elaboratori “in quanto tali”. Nonostante il tenore letterale della norma che ad una prima lettura può apparire decisivo e intransigente, occorre precisare che il divieto non esclude di fatto la tutela del software mediante il brevetto, purchè inserito nell’ambito di una invenzione. La dottrina e la giurisprudenza sul punto sono chiare: è assoggettabile a tutela brevettuale la c.d. invenzione di combinazione, in cui si rinviene un elaboratore programmato in modo da ottenere un risultato tecnico nuovo e originale tramite il coordinamento di elementi noti. In altre parole, ai fini della brevettabilità di un’invenzione, anche e soprattutto il software deve necessariamente rispettare i requisiti richiesti per qualsiasi invenzione e quindi: carattere tecnico, novità, originalità, industrialità e liceità. In tal caso, della brevettabilità è competente l’Ufficio Centrale Brevetti (UCB). E’ legittimo, a questo punto, domandarsi quale sia la differenza tra i due tipi di tutela. La risposta è semplice: il brevetto consente lo sfruttamento del software con riguardo al suo contenuto inibendo lo sviluppo non autorizzato di un programma dotato di funzionalità identiche mentre il diritto d’autore protegge la forma dell’espressione creativa del software, a prescindere dal suo contenuto. Il principale vantaggio della protezione offerta dal brevetto è dunque costituito dal fatto che la protezione brevettuale non si limita a impedire la copia del programma (come nel copyright) potendosi invece focalizzare sulle idee di soluzione, di portata più ampia, che sono alla base dello stesso, così che non è più sufficiente per aggirare la protezione discostarsi dalla sua forma espressiva (scrittura). Il copyright appresta una tutela solo parzialmente efficace, in quanto protegge i software informatici limitatamente al modo in cui è scritto il codice sorgente, cioè il linguaggio di programmazione usato dall’esperto ma percepibile. Il brevetto proteggere invece non il codice in quanto tale, ma le funzionalità e prestazioni proprie del software, e questo rende di fatto impossibile attuare il reverse engineering o condotte similari illecite. Infine, il brevetto ha un termine di validità di 20 anni dalla domanda di deposito, mentre il diritto di autore di 70 anni dalla morte dell’autore. Risulta quindi chiaro che le finalità per le quali è stato creato un software possono essere svariate e diversificate ma da ciò consegue, evidentemente, un grado di tutela differente che occorre determinare di volta in volta.

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